Ho iniziato a frequentare il laboratorio dell’artista Paolo G. Tartarini nel dicembre del 2015.
Ogni domenica, dal primo pomeriggio sino alla prima serata, facevo pratica con la terra: impastare, creare con i colombini, fare sculture, provare il tornio per ceramica, gli ingobbi, gli smalti e infine le cotture in ceramica raku. Davvero un bell’allenamento.
Pochi giorni fa ho avuto il piacere di intervistare il mio maestro. Quanto di seguito riportato è la trasposizione il più possibile fedele della nostra chiacchierata, che riguarda la sua più che ventennale esperienza di artista.
Quando e in che modo è nata la tua passione per l’arte e in particolare per la ceramica?
Il mio amore per l’arte nasce con l’amore per la poesia; fin da bambino ho amato anche la pittura, che ho abbandonato per un periodo ma che ho ripreso successivamente e pratico ad oggi.
Sono passato attraverso lavori che non mi piacevano, sempre sognando un’attività creativa che mi lasciasse il tempo per vivere in modo più gratificante e che fosse uno stimolo per la sperimentazione e per la mente.
L’incontro con la ceramica è avvenuto per caso: la mia compagna di allora, la pittrice Gianna Canova, lavorava anche con la ceramica. Così, tramite lei, ho iniziato ad appassionarmi a questa forma d’arte. Ho lavorato per un periodo con gli ingobbi; poi, dopo circa un anno, sono passato alla tecnica raku.
Chi sono stati i tuoi maestri e quanta parte ha avuto nella tua formazione l’essere autodidatta?
Sono stato soprattutto autodidatta, anche se questo è sempre molto difficile e talvolta frustrante.
Da Gianna ho tuttavia ricevuto i rudimenti nel corso dei miei primi approcci con la terra e l’arte ceramica.
Un maestro molto importante per me è stato l’artista francese Bernard Lecomte, di Mentone, che lavorava soprattutto con il gres e impiegava la tecnica raku.
Da lui ho appreso la basi del tornio e alcuni sistemi per la creazione di smalti raku.
Per tre o quattro anni ho anche frequentato stage internazionali di ceramica vicino a Marsiglia, i Rencontres Professionnelles di Bandol che consiglio vivamente a tutti gli appassionati.
Come ho detto, comunque, la sperimentazione, i tentativi, le prove effettuate individualmente sono stati fondamentali nella mia formazione e nella crescita come ceramista.
A quale tecnica ti sei avvicinato inizialmente? Perché la scelta in particolare del raku?
Come dicevo, la pittura è stata e resta insieme al raku la mia forma espressiva preferita.
In passato ho realizzato pezzi d’arte combinati, ceramica e pittura insieme.
Riguardo nello specifico alla ceramica, inizialmente ho lavorato con gli ingobbi, sebbene ben presto io sia passato al raku.
L’amore per il raku è dovuto alla sua possibilità di improvvisazione e uso dell’intuizione del momento. Non a caso mi piace il jazz.
Quali sono stati i problemi maggiori che hai riscontrato nella tua carriera?
La passione è in grado di appianare in parte le difficoltà, che tuttavia ci sono.
Il tornio, ad esempio, inizialmente e da autodidatta può davvero mettere alla prova i nervi di chiunque. Poi bastano due dritte di un esperto e tutto migliora.
Da dieci anni a questa parte poi, soprattutto in Italia, l’arte ceramica sembra essere un po’ dimenticata. Questo è piuttosto triste.
Altri momenti non piacevoli si verificano quando non si ha il tempo per sperimentare…
Sei molto legato alla cultura ceramica francese. Perché? Quali differenze riscontri con l’Italia?
Trovo che in Francia ci sia più apertura. Personalmente là ho frequentato stage che mi hanno aiutato ad avviare il mio lavoro e sono stato anche socio di un’associazione di ceramisti.
La particolarità è che, mentre in Italia i mercatini sono soprattutto legati all’hobbismo, in Francia vengono effettuati mercati specifici per la ceramica dove è usuale incontrare artisti famosi, di quelli che si trovano anche sulle riviste del settore.
Parliamo del raku. Quali sono le differenze tra l’originale tecnica raku giapponese e quella occidentale?
Si tratta di una differenza enorme. Intanto in Giappone “Raku” è il cognome di una famiglia che tramanda questa tecnica ormai da quindici generazioni: probabilmente i capostipiti, vissuti intorno al 1500, sarebbero sorpresi nell’apprendere che il loro nome oggi in tutto il mondo vuole designare una tecnica. Un po’ come se qualcuno, all’altro capo del mondo, andasse raccontando di fare ceramica “Tartarini”.
In Giappone poi la ceramica è legata ai vari luoghi e ai vari tipi di terra che si trovano in quegli stessi luoghi.
I tipi principali di pezzi ottenuti con questa tecnica sono il raku rosso e il raku nero. I Giapponesi non effettuano lo stesso tipo di alterazioni come in Occidente e impiegano una specie di ingobbio, conferendo alle opere un colore piuttosto uniforme.
Inoltre, cosa importantissima, quello che noi chiamiamo raku nasce in Giappone per l’uso specifico di oggetti legati alla cerimonia del tè. Si tratta quindi di produzioni specifiche finalizzate all’utilizzo, anche se elitario. Attualmente, una ciotola da tè prodotta dalla famiglia Raku può avere un costo di diverse migliaia di euro.
L’inglese Leach fu il primo a far conoscere in occidente questa tecnica sin dagli anni ’20 che poi fu ripresa negli Stati Uniti (specialmente in California) negli anni ’60 da scultori come Paul Soldner.
Nel mondo occidentale la tecnica raku include oggi soprattutto oggetti finalizzati all’estetica, con una varietà pressoché illimitata di soggetti colorati con ossidi e smalti e dai più disparati effetti finali.
Se dovessi brevemente esporre il tuo “curriculum” di ceramista, quali momenti salienti della tua carriera ricorderesti?
Beh, potrei elencare una serie di mostre che ho all’attivo in Italia e all’estero.
Ricordo con piacere il premio Mauto che ho ricevuto a Torino per una mia creazione in cemento e porcellana.
Le opere di cui sono particolarmente orgoglioso sono in generale le grandi sculture che ho realizzato.
Un’esperienza interessante l’ho avuta a Ko-kret, l’Isola dei Ceramisti, in Thailandia, vicino a Bangkok, dove viene prodotta ancora una ceramica individuale di tipo religioso. La maggior parte degli altri laboratori invece sono collettivi: grandi ambienti dove lavorano molti artigiani specializzati ciascuno in un settore specifico.
Un mio sogno nel cassetto è però fare un viaggio in Giappone.
Quali artisti ami particolarmente?
Sicuramente gli artisti della ceramica tradizionale giapponese, specie quelli di Bizen e Shigaraki.
Apprezzo molto lo scultore Anthony Caro che ho visto alla Biennale di Venezia con le sue opere in gres, o lo scultore spagnolo Casanovas che si procura personalmente la terra con una ruspa e produce opere enormi e trasportabili solo con il muletto.
Amo Claude Champy e i tantissimi altri ceramisti francesi. Come italiani, ricordo in particolare Nanni Valentini e Carlos Carlè. Devo aggiungere però che anche la più umile ciotola in certi casi può emozionare.
Dove svolgi la tua attività attualmente?
Ho lavorato in passato nell’antico Borgo degli Artisti di Bussana Vecchia; ora mi sto trasferendo nella vicina Ceriana, un grazioso villaggio del primo entroterra alle spalle di Sanremo, in Liguria.
Ad oggi sei anche insegnante. Cosa proponi agli allievi nei tuoi corsi?
I miei corsi vengono personalizzati sulla base degli interessi e del tempo a disposizione degli allievi stessi. Possono vertere ad esempio unicamente sul tornio per ceramica oppure sulla scultura a mano libera, sulla creazione di uno smalto raku partendo dagli elementi base o ancora sulla sola cottura raku.
Posso confermare che già la sola cottura raku è entusiasmante.
Penso di lasciare i tuoi riferimenti sotto l’intervista quando verrà pubblicata, in modo che le persone che desiderino contattarti per accordarsi su uno o più corsi lo possano fare facilmente. Inoltre gli interessati potrebbero visionare alcune tue opere e sceglierne alcune. Va bene?
Certamente!
Ancora un paio di domande. Innanzitutto, come vedi il futuro della ceramica in Italia e nel mondo?
Purtroppo la situazione in Italia non è al momento delle più rosee. L’interesse è calato e i giovani si rivolgono ad altre attività. Si lavorava a pieno ritmo sino a tutti gli anni ’70; poi, gradualmente, dagli anni ’80 in avanti la ceramica sembra quasi essere passata di moda.
Attualmente nel nostro Paese c’è una ristretta fascia di mercato in cui la ceramica è funzionale al design e finalizzata all’arredo casa. Si tratta tuttavia di qualcosa di ben diverso dal lavoro artigianale, non seriale, del singolo artista.
All’estero la situazione è un po’ diversa. In Francia, ad esempio, sebbene l’interesse sia in parte calato rispetto al passato, la ceramica è tenuta maggiormente in considerazione. Questo vale anche per tutti i Paesi del nord Europa.
In America i ceramisti sono relativamente pochi e vengono apprezzati di più. Le loro opere proprio per questo possono risultare anche piuttosto costose, se si desidera acquistarle, proprio come in Giappone, dove gli acquirenti sono disposti a spendere cifre notevoli per l’alta qualità e per il nome dei produttori.
Quali consigli daresti a un giovane ceramista che, nonostante la difficoltà, volesse accostarsi all’arte ceramica?
Se è animato dalla passione, gli direi di provarci, comunque. Potrebbe tentare nell’ambito del design, oppure come artigiano individuale, senza badare inizialmente alle ore che impiegherà.
Dovrebbe lavorare con costanza e sperimentare sempre, senza timore di sbagliare.
Grazie per questa bella chiacchierata, Paolo, e grazie per aver accettato di rendere pubblico il tuo pensiero e le tue esperienze.
Speriamo che l’interesse per la ceramica e per l’arte in generale possano in futuro riacquistare il loro valore ed il loro posto in Italia, e che il nostro Paese possa farsi forza della grande e splendida cultura ceramica che ha da sempre tradizionalmente avuto.
Sito web di Paolo Tartarini: www.laboratorioraku.com
Pagina Facebook: www.facebook.com/laboratorioraku
Leggi le altre interviste:
INSERITO IL: 12/03/2018
AGGIORNATO IL: 07/02/2019